Il panzerotto, il frutto della cucina povera pugliese, merita una canzone che ci racconti una storia. Magari anche sconosciuta.
Calzoncello scherzoso
Non è una canzone, ma una poesia. Ma anche il panzerotto non è un calzone. Questione di nomi, direte. Sì è vero, perché in alcune parti della Basilicata e della stessa Puglia, il panzerotto è chiamato anche calzone o calzoncello. Ma in generale si può dire che con il termine “calzone”, nella nostra Penisola, si indica un prodotto più grande del panzerotto e cotto al forno.
Il panzerotto è invece rigorosamente fritto e ha parentele con il Pidone messinese (che viene cotto al forno o fritto ed è farcito con scarola e acciughe) e addirittura le empanadas argentine (farcite con carne di manzo o pollo e verdure).
Il panzerotto ha però radici prettamente pugliesi, e come tutte le migliori creazioni della nostra cucina viene dalla tradizione contadina, che ne colloca i natali a Bari — c’è chi dice già nel Seicento —, quando il pomodoro aveva fatto da poco la sua comparsa in Italia. Di certo, era un piatto povero: con l’avanzo dell’impasto del pane si preparavano queste mezzelune, che venivano farcite con pomodoro e formaggio.
Quello che le nonne non dicono
Se andate a Bari e parlate con qualche nonna, ognuna di loro avrà il suo segreto per la preparazione dei panzerotti. Chi aggiunge un po’ di zucchero e chi non lo fa, chi usa olio evo e chi no. Nunzia Caputo, ad esempio, segue una tradizione tramandatagli da sua nonna: tiene da parte un po’ di pasta di riporto, la conserva in frigo con un filo d’olio per poi riutilizzarla per la lievitazione del nuovo impasto dei panzerotti.
Tutti i miei sbagli
Il primo sbaglio da evitare assolutamente è, manco a dirlo, confondere i panzarotti con i calzoni. Le differenze, come detto, sono anche nelle dimensioni: i panzerotti sono più piccoli dei calzoni.
A Napoli, una delle versioni del panzerotto è la pizza fritta. Occhio al nome: anche nei panzerotti l’impasto è quello della pizza, per cui è fondamentale non dimenticare come prepararlo, sapendo che è sempre dalla qualità dell’impasto che si arriva a un prodotto finito buono e sano.
E poi non sbagliamo l’olio: meglio utilizzare un olio extravergine o comunque di oliva. Altrimenti teniamo sempre d’occhio il punto di fumo. Inoltre, la temperatura dell’olio non dovrebbe essere troppo alta, ma tra i 170 e 180°C.
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